Il cavallo rosso di Eugenio Corti

Il cavallo rossoOgni popolo ha la sua epopea che ne celebra il carattere e la dignità. L’epopea dei popoli cristiani costituisce anche la testimonianza eroica della loro fede in Dio, nel nome di Gesù Cristo. E la testimonianza del cristiano è sempre battaglia, una lotta su tutti i fronti della coscienza contro gli assalti sleali ed accaniti che gli fanno dovunque non solo gli atei, ma gli apostati e la grande massa degli increduli, i quali sogghignano alla sua ingenuità. I credenti però hanno posto nell’Eterno la loro speranza, e la certezza nella vita che non passa.

Tale è anche l’epopea della fede celebrata dall’Autore di questo capolavoro che è Il cavallo rosso (ed. Ares, Milano, I ed. 1983, VIII ed. 1990). Si tratta della trasfigurazione cristiana delle brutture e delle sofferenze indicibili presenti nell’ultima guerra europea, voluta diversamente da tre dittatori, e sofferta diversamente da tre popoli, ovunque in un caos di orrori che supera ogni immaginazione, e ricorda quelli della Bibbia e degli imperi dell’antichità più atroce. Ciò che colpisce è anzitutto la grandiosità dello scenario: dall’Italia alle steppe gelate della Russia, fino all’Africa settentrionale. Ma ancora di più sorprende l’universalità e l’irrazionalità delle sofferenze del corpo e dello spirito fino ai limiti estremi: l’orrore più depravato e l’antropofagia. C’è nell’immensità del male dell’uomo, una eco che riflette l’immensità delle sofferenze dell’Uomo-Dio. Il Cavallo rosso, nel testimoniare, mostra che la fiammella della fede continua a splendere nei credenti, e li illumina, anche nelle angosce più tenebrose.

Esso è pertanto il romanzo della passione di una umanità cristiana, non prometeica: tutte le classi fanno la loro comparsa in questo poema spirituale: le umili e le elevate, operai ed imprenditori, soldati e ufficiali di ogni grado, e nella politica fascisti, nazisti e comunisti. E’ presente anche il popolo russo, e in particolare le donne, le quali hanno gesti, specialmente verso gli affamati ed i feriti italiani, di autentica umanità e di cristiana carità. Tanto può la fede cristiana nella commozione dell’umano dolore.

E’ soprattutto, Il cavallo rosso, il romanzo cristiano del Novecento, un romanzo di profonda cristiana tristezza. Esso ha inizio con due episodi impietosi: le sevizie di un gruppo di ragazzi dell’Oratorio parrocchiale contro un cagnolino, e la loro successiva sassaiola contro un povero deficiente, incapace di sottrarsi e di reagire a tanta precoce malvagità. Tutto questo da parte di ragazzi che frequentano un oratorio, che pure è ben diretto! Non occorreva dunque la guerra a rivelare la malvagità che si annida nel cuore umano. Ma siamo appena ai prodromi di questa sconfinata tragedia del male.

C’è soprattutto –  è il tema centrale del libro – la disastrosa battaglia sul fronte del Don, con la grande ritirata seminata di morti per la fame e il freddo. Uno scenario da Malebolge che solo un testimone oculare, come l’autore Eugenio Corti, poteva ricostruire e descrivere. Masse di soldati, abbandonati e in movimento su un fronte immenso, condannati, per la mancanza di mezzi, ad assistere al crollo inarrestabile di qualsiasi sostegno. E’ gente reale, che soffre ma sa sopportare, soffrire, eroi della sofferenza che ormai nessuno ricorda e che solo la pietà cristiana dell’Autore onora. Alla tragedia della ritirata dal Don, si aggiungono le trappole della guerra in Albania e in Grecia, quindi la tremenda battaglia di Cassino, dove a Montelungo muore uno dei protagonisti, Manno. C’è anche la fuga avventurosa di un piccolo manipolo di coraggiosi al termine dei combattimenti in Africa settentrionale su un canotto a motore, rimediato di fortuna, anch’esso carico di ansie e di speranze. Infine, l’ultimo atto, è il crepitio della Resistenza nel Nord Italia, dove anche i militanti cattolici, e non soltanto i rossi, sono in prima linea.

Finalmente i pochi fortunati possono tornare a casa, a rivivere il corso degli affetti rimasti, ed a riprendere anche qui la propria testimonianza cristiana.

Ma nella sopravvenuta pace, al loro operare positivo si sovrappongono le conseguenze di fatti tristissimi che stanno cambiando su larga scala la vita religiosa in Italia. Molti di coloro che si trovano in alto, e in particolare certi cattolici al potere, compiranno un po’ alla volta quello sfascio totale delle anime, che ai massoni non era riuscito in un secolo. L’Autore a noi sembra ancora blando nella denuncia di questi traditori del mysterium ecclesiae.

Il cavallo rosso riprodotto sulla copertina del libro è quello fremente dell’Apocalisse (6,4): lo strumento dell’ira di Dio. Esso è la chiave teologica della lettura del romanzo. E’ tuttavia un cavallo tenuto per le briglie dalla divina Provvidenza che percorre le pagine dal principio alla fine, ma con dialettica insolita. Una dialettica quasi, almeno stando alla prima impressione, della disfatta dell’uomo a tutti i livelli, che riflette il collasso del Cristianesimo contemporaneo italiano…

Contro il comportamento non esemplare ai vertici della politica e, talora, della stessa Chiesa, sta il comportamento degli umili protagonisti del libro, i quali professano con ingenuo slancio ed eroica convinzione la propria fede in una vita onesta, sostenuta dalla preghiera in famiglia, dalla frequenza alle funzioni, dalle pratiche religiose; che in una parola “respirano il sacro”. Stanno anche i bimbi ed i giovani dell’oratorio con lo zelante don Mario, come in precedenza c’erano i soldati che al fronte si raggruppavano attorno all’austera ed amabile figura del cappellano don Carlo Gnocchi (un santo che anche l’estensore di queste note ha conosciuto), ed i sottufficiali, sempre in fraterna comunione, con i soldati semplici, e gli ufficiali; tutti e sempre con naturalezza, quasi fossero insieme al tavolo dell’Ultima Cena con Cristo. E vero, là si era nel clima orrendo di una guerra: scene di umana tristezza e di struggente malinconia si succedevano senza pausa: c’erano gli addii senza ritorno, i feriti gravi abbandonati, i disperati spinti dalla fame a tutti gli orrori. Ma al disopra di tante macabre realtà oscillava sempre la tenue e confortante luce della dedizione e della fede eroica di ambedue i versanti del genere umano, uomini e donne (come non ricordare il gruppo delle suore ortodosse russe condannate ai lavori forzati, che soccorrono le loro compagne comuniste in difficoltà? O le suore cattoliche di Leopoli, che salgono dai sotterranei dell’ospedale a soccorrere i feriti italiani?).

Ne Il cavallo rosso anche dopo la guerra c’è un susseguirsi di ombre e di luci. Le luci ad esempio delle scritte per gli automobilisti sui muri di Monza: « Ricordati che Dio ti ama »; le ombre, anzi le tenebre, dei cristiani traditori, a cominciare da quelli che all’Università Cattolica in occasione della battaglia sul divorzio “se la facevano sotto”. Perfino certi preti (è vero!) “per stare col popolo” (ma a capo c’era la borghesia massonica e rossa) dicono che va bene votare per il divorzio, scusando così i politici cattolici traditori. (Negli anni successivi le cose peggioreranno ancora, in occasione del referendum sull’aborto, con la relativa legge sottoscritta dal presidente della Repubblica Giovanni Leone e dall’attuale presidente del Consiglio Giulio Andreotti: entrambi di professione cristiana. Quanto più ammirevole ci appare, al confronto, in una situazione analoga, il recente gesto di rifiuto del re Baldovino del Belgio: questo sì uomo coerente con la propria fede cattolica!).

Nel romanzo il giovane Popi, studente universitario, si arrovella per il tradimento di troppi cattolici sul divorzio: “Siamo al punto che da noi all’Università Cattolica i divorzisti stanno facendo tutte le conferenze che vogliono, mentre a voi antidivorzisti (come al prof. Cotta) non è permesso di parlare. Questo all’Università Cattolica!”. Nessuna meraviglia che la corruzione dei costumi, pubblici e privati, dilaghi senza freni.

Ma c’è dell’altro ancora. La cultura cattolica, dopo la morte di Pio XII, allora come oggi, anziché lottare contro le errate analisi marxiste, insisteva a cercare i punti di incontro con esse: il Papa dovette intervenire. Dappertutto scandali e lezzo di peccati vergognosi. Si aveva l’impressione che la società Cristiana si sfasciasse, e la nostra diventasse, per un ecumenismo male inteso, la “religione della tolleranza”.

Eccolo qui, per ora, conclude il Corti, ed è difficile dargli torto, il risultato degli indirizzi di Maritain e Mounier e degli altri che avevano aperto ai comunisti e ai modernisti! E lo sfascio sembra non conoscere più limiti: leggiamo come nel celebre santuario della Madonna di Tirano presso Sondrio, al termine di una predica, un celebrante spezza davanti ai valligiani attoniti una corona del rosario. Leggiamo come, nel seminario di una importante diocesi, i chierici bruciano tutte le loro corone! Che meraviglia allora se i seminari oggi nella quasi totalità si sono svuotati? L’opera eroica di professori del calibro di Mario Apollonio, emarginato all’Università Cattolica per la sua resistenza impavida, ed ora passato all’eternità, e di Gabrio Lombardi della Statale di Milano, ideatore e presidente del Comitato antidivorzista, era caduta nel vuoto perché le anime di troppi cattolici si erano svuotate, la fede spenta anche in certi pastori allontanatisi scandalosamente da ogni dimensione soprannaturale. La speranza avrebbe cominciato a risvegliarsi – nota con coraggio il Corti – soltanto più tardi, quando Iddio, dopo tante disfatte, avrebbe fatto alla sua Chiesa “l’immenso dono del papa polacco: un papa di nuovo “pietra” e “roccia” finalmente!”.

La conclusione del romanzo è una sintesi di gioia e dolore, di morte e resurrezione nella fine di Alma, la “statuina di marmo” diventata moglie affettuosa di Michele, l’intellettuale cattolico tutto d’un pezzo, sempre all’opera per contrastare la malvagità della propaganda rossa. La vettura di Alma precipita nel lago di Lecco, urtata dalla macchina di un drogato che, appunto sotto l’effetto della droga, procede a zig zag. Sull’anima della donna, come due falchi, “piombarono ad ali chiuse i due angeli: il suo e quello di Michele, pronti all’ultima difesa contro eventuali insidie all’ingresso nel mondo degli spiriti”. Affacciandosi a tale mondo Alma incontra in gran festa le anime amiche che ve l’avevano preceduta. E fra esse l’anima di Marietta “delle spole” – l’ultima fra le donne del paese, perciò la prima al cospetto di Dio – la quale le dà il: “Benvenuta Almina!” e l’assicura che “qui siamo in tanti, in tanti.., perché non uno di quelli per cui Cristo è morto si perde, Alma cara, non uno”. E la “rosa candida” dei Beati del Paradiso dantesco, testimoni del soprannaturale con la sconfitta in cielo del mostro dell’Apocalisse.

Il cavallo rosso è certamente anche il romanzo del trionfo cristiano del bene sul male, ma non qui in terra come ne I promessi sposi, bensì nella luce eterna di Dio, che non conosce tramonto.. Tale sembra lo schema di questo romanzo che può dirsi anche la lettura cristiana in filigrana della storia della Chiesa italiana del post-concilio in un settore paradigmatico e privilegiato com’è la Brianza, la Vandea d’Italia. Romanzo unico nel suo genere.

Allora, pessimista o ottimista? L’uno e l’altro, che vale né l’uno né l’altro, o piuttosto tentando una risposta teologica: è pessimista degli uomini e ottimista di Dio, il quale guida la storia degli uomini “per il compimento del numero dei suoi eletti” (Apoc. 6, 11).

A quando una degna versione televisiva? Se fosse tale da rendere fedelmente il libro, essa potrebbe avviare un autentico risveglio spirituale di tutta la nazione.

(Cornelio Fabro, gennaio/marzo 1991, Renovatio)